"Kiss me deadly", i film in programma questa sera al Festival del cinema spagnolo - Molise Web giornale online molisano
Sabato - 03 Giugno 2023

"Kiss me deadly", i film in programma questa sera al Festival del cinema spagnolo

Ore 19.00 - “SEIS DÍAS CORRIENTES” di Neus Ballús.

Non fatevi ingannare dal titolo: Seis días corrientes (Sei giorn qualsiasi, banali) di Neus Ballús, in concorso al Festival di Locarno, non ha niente di banale. Al contrario, questo terzo lungometraggio della regista catalana trabocca di originalità, audacia e una folle voglia di sperimentare: con i suoi interpreti, con il linguaggio filmico, con le situazioni improvvisate, con la permeabilità della sua sceneggiatura, con la spontaneità del suo protagonisti, con ciò che è straordinario nella vita quotidiana.

È un film di una fluidità naturale che oscilla tra documentario e commedia, mentre si irradia di surrealismo, e non lascia che il cinema sociale nella sua versione più rancida (un tipo di cinema al quale si potrebbe a priori, a causa del suo soggetto, commettere l'errore di associare questo film) ne blocchi le canalizzazioni.
Gli eroi del film sono tre idraulici. Tra questi spicca Valero, oratore incallito che non sta mai zitto, nemmeno sott'acqua, con pregiudizi in tasca e immancabile tenacia. Poi c'è Pep, un veterano ancora molto in gamba che presto andrà in pensione e si considera un talebano del perfezionismo professionale. Il fantastico terzetto è completato da Moha, un giovane marocchino che sta facendo la sua settimana di prova come possibile sostituto di Pep, e che dietro la sua timidezza nasconde un’estrema sensibilità. Ballús, profondamente innamorata dei suoi personaggi, li ha collocati in una varietà di situazioni stravaganti nei sei set che si susseguono, come fossero episodi, in un film che, ben supportato dal carisma dei suoi attori, invita a imparare a conoscere il prossimo, l'Altro, questo essere diverso ma così vicino a noi, e cercare di capirlo e accettarlo così com'è.
Per fare questo, il regista ha fatto appello al miglior strumento che esiste per sbloccare gli intasamenti mentali: il sorriso. Perché l'umorismo esplode all'improvviso, come una perdita d'acqua, ogni volta che i nostri artigiani visitano i vari luoghi in cui è stata richiesta la loro abilità manuale. E, senza svelare la trama, queste case sono tanto riconoscibili quanto autentiche, piene di vita e di esperienze, di quelle che alimentano la quotidianità di coloro (inclusi gli spettatori) che sanno cogliere il modo migliore, più arricchente e più propizio per infondere empatia. Da una sceneggiatura più o meno ispirata a eventi reali, scritta dal regista con Margarita Melgar (pseudonimo che in realtà nasconde due nomi: Montse Ganges e Ana Sanz-Magallón), Seis días corrientes ritrae un'umanità a noi vicina, pittoresca e magnetica nella quale rivalità, gelosia, seduzione, esigenze, perfezionismo, amicizia e rapporti di potere si fanno sentire, il tutto mimetizzato sotto una buona dose di quel senso dell'umorismo di cui abbiamo parlato sopra.

Ore 21.30 – “Alcarras”  di Carla Simón.

 Nella campagna assolata della Catalogna, la famiglia Solé vive e coltiva da decenni un vasto frutteto che gli era stato offerto dopo la guerra civile dai proprietari, i Pinyol. Un gesto d'onore a ricompensa di un aiuto cruciale, ma mai siglato con documenti ufficiali. I Solé si ritrovano perciò impotenti quando furgoni carichi di pannelli solari arrivano sui terreni, pronti a riconvertire il frutteto ed eliminare l'unica attività che la famiglia abbia conosciuto. La regista catalana Carla Simón si era fatta notare con il suo primo lungometraggio, Estate 1993, e con Alcarràs espande e cementa una poetica cinematografica fatta di minuzioso naturalismo, uno sguardo dolce verso il passato e un dono particolare per il lavoro con gli attori. In questa epopea familiare in cui la tradizione si scontra violentemente con le fredde costrizioni del presente, Simón dipinge un affresco meticoloso della sua terra e coglie il frutto pienamente drammatico di un cinema contemplativo, di stampo quasi documentaristico. La specificità del racconto, rivelatrice non soltanto del lavoro di ricerca ma di un omaggio personale alla storia della regista, salta subito agli occhi grazie all'esattezza dei costumi e alle pieghe sul volto dei personaggi, attori non professionisti che Simón trasforma in una perfetta orchestra di tensioni, amore e caos.

Con ogni personaggio tuttavia si apre un mondo, e non sono da meno gli interessanti excursus nelle politiche di genere quando la macchina da presa si sofferma sulle donne costrette a fare da paciere invisibile, sugli adolescenti ormai troppo cresciuti per contentarsi degli austeri svaghi dei campi, o sugli anziani, che a loro modo fanno eco al medesimo dibattito tra progresso e tradizione ("la tua salsa di pomodoro è diversa, mamma non usava il frullatore" - "Perché non esisteva!").

Tutti dettagli che contribuiscono all'afflato romanzesco del film, e aggiungono livelli di caratterizzazione a una storia che fotografa con accuratezza le particolari circostanze socio-economiche dell'industria agricola contemporanea. I conti non tornano, e il mondo sembra voler dire a famiglie come quella dei Solé che la loro esistenza non è sostenibile, anche prima di far entrare le ruspe sui loro terreni. Eppure, ci ricorda Carla Simón, un lavoro rimane più che un lavoro, e l'identità merita di essere tutelata.

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