Di oggi la notizia del no della Cassazione francese all’estradizione dei 10 brigatisti italiani arrestati nel 2021 nell’ambito dell’operazione Ombre Rosse. Tra di loro anche due molisani: Enzo Calvitti, originario di Mafalda (classe '55), che deve scontare 18 anni, 7 mesi e 25 giorni e 4 anni di libertà vigilata per i reati di associazione sovversiva, banda armata, associazione con finalità di terrorismo, ricettazione di armi; e Maurizio Di Marzio, originario di Trivento, (classe '61), che deve scontare 5 anni per tentato sequestro dell'ex dirigente della Digos di Roma.
L’estradizione, richiesta dallo Stato Italiano per i 10 ex terroristi rossi rifugiatisi in Francia negli anni ’80, protetti per decenni dalla cosiddetta dottrina Mitterrand, era stata già negata nel giugno 2022 dalla Corte d’Appello di Parigi. Arriva ora il pronunciamento della Suprema Corte, che ha ribadito il suo no alla richiesta avanzata dal governo italiano (premier Mario Draghi) e appoggiata da quello francese guidato da Emmanuel Macron.
Gli italiani, ricorda la Corte di Cassazione, sono stati giudicati colpevoli, tra il 1983 e il 1995, dalla giustizia italiana, di attentati terroristici, eversione dell’ordine democratico e omicidio aggravato, commessi in Italia, tra il 1972 e il 1982, durante gli “anni di piombo”. Di queste dieci persone che vivono in Francia, le autorità italiane hanno chiesto la loro estradizione nel 2020 per poter scontare la pena in Italia.
"Era un’illusione aspettarsi qualcosa di diverso e (parere personale) vedere andare in carcere queste persone dopo decenni non ha per noi più senso. Ma … c’è un dettaglio fastidioso e ipocrita: la Cassazione scrive che i rifugiati in Francia si sono costruiti da anni una situazione famigliare stabile (…) e quindi l’estradizione avrebbe provocato un danno sproporzionato al loro diritto a una vita privata e famigliare. Ma … pensate al danno sproporzionato che loro hanno fatto uccidendo dei mariti e padri di famiglia. E questo è ancora più vero perché da parte di nessuno di loro c’è mai stata una parola di ravvedimento, di solidarietà o di riparazione. Chissà…". Lo scrive sui social Mario Calabresi, figlio del commissario Luigi Calabresi, assassinato nel 1972 da un attentato terroristico di estrema sinistra, commentando la decisione dei giudici francesi.
(Foto Ansa)
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